di Vincenzo Elifani
Pubblicato su QUADERNI DEL MASTER IN GEOPOLITICA E SICUREZZA GLOBALE
4. Giappone e Corea del Sud: due paesi a confronto
La Corea del Sud, tra gli anni 1960 e 1990, ha avuto un’incredibile crescita economica e si è integrata a livello globale divenendo un’economia industrializzata ad alta tecnologia, tanto da essere considerata una delle quattro “Tigri asiatiche”, insieme a Taiwan, Singapore e Hong Kong. Il successo, nei tardi anni ottanta, fu ottenuto grazie a un sistema di stretti rapporti tra il governo coreano e le imprese, che comprendeva crediti diretti, restrizioni sulle importazioni, sponsorizzazione di determinate aziende e un forte aumento di produttività dei lavoratori. Il governo promosse l’importazione di materie prime e tecnologia avanzata a discapito dei beni voluttuari, incoraggiando nel contempo il risparmio e gli investimenti piuttosto che il consumo.
La crisi finanziaria asiatica del 1997 ha poi mostrato le debolezze strutturali del modello di sviluppo sudcoreano, quali l’alto rapporto debito/bilancio, il massiccio ricorso all’indebitamento estero e l’indisciplina del settore finanziario.
Dati confrontati | Giappone | Corea del Sud |
Ordinamento dello Stato | Monarchia costituzionale parlamentare | Repubblica presidenziale |
Superficie km2 | 377.915 | 99.720 |
Popolazione | 126.919.000 | 49.115.000 |
Percentuale potenziale di sostegno (PSR)* | 2,3% | 5,6% |
Tasso di disoccupazione | 3,6% | 3,5% |
Prodotto Interno Lordo (PIL) (miliardi di dollari) | 4,767 | 1,784 |
Tasso di crescita del PIL | -0,1% | 3,3% |
Debito pubblico (% PIL) | 231% | 35% |
Esportazioni (miliardi di dollari) | 699 | 573 |
Importazioni (miliardi di dollari) | 798 | 528 |
Spesa militare (% PIL) | 0,97 | 2,08 |
Militari in servizio | 247.150 | 655.000 |
Militari riservisti | 56.100 | 4.500.000 |
Fonte: CIA “The World Factbook” e “The Military Balance 2015”
*La Percentuale Potenziale di Sostegno, o PSR (Potential Support Ratio), indica il numero di persone di età compresa fra i 15 e i 64 anni che ci sono per ogni persona di 65 anni di età o oltre, indica cioè il peso delle persone che sono a carico dei lavoratori potenziali. L’impatto esercitato dall’invecchiamento demografico è facilmente riscontrabile nel PSR, che è crollato e continuerà a diminuire. In Italia nel 2015 è pari al 2,9% Le percentuali potenziali di sostegno hanno delle importanti implicazioni per i piani di sicurezza sociale, particolarmente per quei sistemi tradizionali nei quali i lavoratori attivi pagano per le indennità di quanti sono al momento in pensione.
Volendo fare qualche confronto tra i due Paesi vediamo che il Giappone ha come sistema politico una Monarchia costituzionale parlamentare mentre la Corea del Sud è una Repubblica presidenziale, il territorio giapponese è quasi quattro volte quello della Corea del Sud mentre la popolazione è due volte e mezza quella sudcoreana. Entrambi i paesi sono caratterizzati da uno scarso fenomeno immigratorio ed entrambi presentano un tasso di crescita demografica tendente allo zero con un aspettativa di vita superiore agli ottant’anni. Ciò sta già creando i primi seri problemi nel sostenere il sistema produttivo e nel continuare a pagare le pensioni. Tuttavia il tasso di disoccupazione in entrambi i Paesi è abbastanza contenuto e si attesta intorno al 3,5%. Il Prodotto Interno Lordo del Giappone è superiore di circa due volte e mezzo rispetto a quello sud coreano ma attualmente il tasso di crescita del PIL giapponese è fermo intorno allo zero mentre quello sudcoreano è in crescita di circa il 3%. Il debito pubblico del Giappone è molto alto, tra i più alti al mondo, secondo solo al debito pubblico statunitense, ma naturalmente non eccessivamente preoccupante se rapportato all’economia alle dimensioni territoriali e alla densità demografica del Paese.
Molto contenute sono le spese militari del Giappone rispetto a quelle della Corea del Sud così come i numero dei militari in servizio e quelli riservisti, ma questo è dovuto da una parte alla Costituzione giapponese che limita al massimo il ricorso alle spese militari e dall’altra dalla minaccia nordcoreana che incombe ancora sulla Corea del Sud fin dalla fine del conflitto di Corea.
In Corea del Sud è molto sviluppata la tecnologia industriale, soprattutto grazie a tre grandi aziende di spessore mondiale: Samsung, LG e Hyundai. La Corea del Sud ha approvato numerose riforme economiche in seguito alla crisi, tra cui una maggiore apertura agli investimenti esteri e le importazioni. Le esportazioni della Corea del Sud sono state duramente colpite dalla crisi economica globale del 2008, ma sono riprese rapidamente negli anni successivi, raggiungendo una crescita superiore al 6% nel 2010. L’Accordo di libero scambio tra Stati Uniti e Corea del Sud è stato ratificato da entrambi i governi nel 2011 ed è entrato in vigore nel marzo 2012.
Le sfide a lungo termine dell’economia sudcoreana sono: come fare fronte al rapido invecchiamento della popolazione, come modificare il mercato del lavoro ancora poco flessibile, come ridurre la pesante dipendenza dalle esportazioni, e infine come attenuare l’eccessiva dipendenza dell’economia nazionale dalla posizione dominante di grandi conglomerati (chaebol). Nel tentativo di affrontare le sfide a lungo termine e sostenere la crescita economica, l’attuale governo ha dato la priorità alle riforme strutturali, alla deregolamentazione, alla promozione dell’imprenditorialità e alle industrie creative, la competitività delle piccole e medie imprese.
Tuttavia, la recente performance economica della Corea del Sud è stata deludente. Dopo 40 anni di stupefacente crescita annua del PIL intorno ad una media dell’8%, nel 2000-2010 il tasso medio di crescita è sceso al 4,1%, e nel 2011 si è fermato addirittura al 3%. Per questo molti analisti si chiedono se la Corea del Sud stia procedendo verso il tipo di deflazione prolungata e la stagnazione che ha caratterizzato i cosiddetti “decenni perduti” del Giappone, e da cui solo ora sta iniziando a riemergere con grande sforzo.
In Giappone, negli anni seguenti la seconda guerra mondiale, la cooperazione del governo con l’industria, una forte etica del lavoro, la padronanza dell’alta tecnologia, e una relativamente piccola allocazione per le spese di difesa (1% del PIL) hanno contribuito a sviluppare un’economia avanzata.
Due sono stati i punti di forza dell’economia giapponese nel dopoguerra: i conglomerati di imprese, noti come “Keiretsu”, che raggruppano, attraverso complesse partecipazioni azionarie incrociate, società commerciali, imprese produttive, compagnie di assicurazioni e alla cui testa vi è in genere una banca che svolge il ruolo di guida del gruppo, e la garanzia del lavoro a vita per una parte sostanziale della forza lavoro urbana. Entrambe queste caratteristiche si stanno ora scalfendo sotto la duplice pressione della competizione globale e dei cambiamenti demografici interni caratterizzati dalla scarsa natalità e dall’invecchiamento della popolazione.
Il Giappone, carente di molte risorse naturali è stato sempre dipendente dalle materie prime importate. Recentemente, a seguito della chiusura completa dei reattori nucleari del Giappone dopo il terremoto e lo tsunami nel 2011, il settore industriale giapponese è diventato ancora più dipendente di quanto non fosse in precedenza dalle importazioni di combustibili fossili.
Per tre decenni, la crescita economica reale complessiva del Giappone era stata impressionante – in media 10% nel 1960, 5% nel 1970 e 4% nel 1980. La crescita è poi rallentata notevolmente nel 1990, con una media di crescita di appena 1,7%, in gran parte a causa dei postumi di investimenti inefficienti e una bolla dei prezzi delle attività alla fine del 1980 che ha richiesto un lungo periodo di tempo per le imprese per ridurre il debito in eccesso, il capitale e il lavoro.
Modesta è stata la crescita economica dopo il 2000 e, infine, l’economia giapponese è entrata in recessione quattro volte dal 2008. Nel 2013 il Giappone ha goduto di una forte crescita grazie alle “Tre Frecce” il programma di rivitalizzazione economica del Primo Ministro Shinzo Abe – soprannominato “Abenomics” – che prevede l’allentamento monetario (massicce iniezioni di liquidità sui mercati azionari e finanziari con i mezzi a propria disposizione cioè stampare moneta e acquistare titoli di Stato per miliardi inondando di denaro fresco i mercati), la politica fiscale “flessibile” e le riforme strutturali.
In materia economica, la Corea del Sud, nel bene o nel male, ha spesso seguito l’esempio del Giappone, infatti le somiglianze tra la Corea del Sud di oggi e il Giappone di 20 anni fa sono evidenti. I leader coreani dovrebbero prendere esempio dagli errori compiuti in campo economico dal Giappone per evitare di ricadere negli stessi errori.
I guai del Giappone ebbero inizio nelle bolle immobiliari ed azionarie, che sono state alimentate da un’espansione monetaria volta a stimolare la domanda interna dopo il 1985. Nei primi anni Novanta le bolle scoppiarono, lasciando il settore privato con un enorme eccesso di debito. Se a ciò si aggiunge la crescita lenta della produttività, la debolezza della domanda, e il rapido invecchiamento della popolazione, ecco che la situazione economica del Giappone divenne terribile con la conseguenza che l’economia nel 1990 crebbe in media solo del 1,1%, di gran lunga al di sotto del 4,5% del 1980.
Le cose andarono in questo modo fino a quando nel 2012 si è insediato il primo ministro Shinzo Abe che ha lanciato la sua triplice strategia di rilancio, denominata “Abenomics”. I prezzi delle azioni sono saliti oltre l’80%. Il deprezzamento dello yen – da ¥ 78 a ¥ 123 nei confronti del dollaro – ha aumentato le esportazioni dei prodotti industriali e, a sua volta, la redditività delle imprese. Naturalmente, di conseguenza, sono aumentati anche l’occupazione e i salari.
Abe si appresta con il cosiddetto “Abenomics 2.0” a supportare questi sforzi con iniziative volte ad aumentare il tasso di fecondità (istruzione prescolare gratuita, il supporto per i trattamenti di fertilità, e maggiore assistenza per le famiglie monoparentali) e a mitigare i problemi connessi con l’invecchiamento della popolazione (potenziamento della sicurezza sociale e maggiori opportunità di lavoro per i pensionati). Ciononostante, i giovani non sono convinti di poter sostenere famiglie più numerose, e ritardano sempre di più il matrimonio e la nascita dei loro figli. In questo contesto, molti credono che, per evitare che l’attuale popolazione di 127 milioni di abitanti scenda sotto i 100 milioni, il Giappone sarà costretto ad accettare più immigrati. Questo non è cosa di poco conto in un Paese che attribuisce un grande valore alla sua omogeneità. L’ex primo ministro giapponese Taro Aso ha una volta descritto il Giappone come una nazione di «una razza, una civiltà, una lingua e una cultura».
L’economia del Giappone non è affatto fuori dal guado. Nonostante i continui acquisti in titoli di Stato per circa 80 miliardi per anno, la Banca del Giappone non è riuscita a raggiungere il suo obiettivo di inflazione del 2%, e il rapporto debito-PIL del Giappone, pari al 230% è in aumento e resta il più alto del mondo.
In poche parole, la situazione del Giappone non è invidiabile e la Corea del Sud potrebbe finire allo stesso modo.
Utilizzando le stesse strategie di sviluppo – tra cui le politiche orientate all’esportazione e un sistema industriale prevalentemente conglomerato – la Corea del Sud si è messa al passo con il Giappone negli ultimi quattro decenni. Il suo reddito pro capite (in termini di potere d’acquisto), era solo un quinto del Giappone nel 1970, oggi ammonta a quasi il 95% del Giappone. Nello stesso periodo, la quota della Corea del Sud di esportazioni mondiali è passata dallo 0,3% al 3% – molto vicina a quella del Giappone pari al 3,6%.
A dire il vero, differenze significative tra i due paesi rimangono. La Corea del Sud è ancora indietro al Giappone in termini di influenza internazionale e di qualità delle istituzioni. La Corea del Sud si colloca al 26° posto nella classifica mondiale di Competitività del World Economic Forum, mentre il Giappone è al sesto posto.
Tuttavia, la verità è che la Corea del Sud sta avendo gli stessi problemi che il Giappone ebbe nei primi anni 1990, come ad esempio gli alti livelli di indebitamento delle famiglie e delle società, le inefficienze dei mercati finanziari e del lavoro, e la bassa produttività nel settore dei servizi. Considerando che il tasso di fertilità è di solo 1,2 nascite per donna – tra i più bassi del mondo – la forza lavoro della Corea del Sud è destinata a ridursi di un quarto entro il 2050, con le persone di età superiore ai 65 anni che rappresenteranno il 35% della popolazione totale, contro il 13% di oggi. Questo andamento demografico è destinato a mettere in seria difficoltà i bilanci pubblici.
Se la Corea del Sud vuole evitare il destino del Giappone, dovrà prendere seri provvedimenti per ridurre il debito delle famiglie e delle società. Dovrebbe inoltre continuare ad attuare le riforme strutturali volte a rafforzare i suoi mercati del lavoro e finanziari, e dovrebbe migliorare la qualità istituzionale e la produttività dei servizi a favore delle imprese di piccole e medie dimensioni. Infine, prendendo spunto da “Abenomics 2.0”, la Corea del Sud dovrebbe puntare ad un forte sostegno nei riguardi delle giovani coppie per favorire la risalita dei matrimoni e delle nascite.
Leggi il capitolo successivo: Le controversie esistenti tra il Giappone e la Corea del Sud