di Vincenzo Elifani
Pubblicato su QUADERNI DEL MASTER IN GEOPOLITICA E SICUREZZA GLOBALE
5. Le controversie esistenti tra Giappone e Corea del Sud
A 50 anni dalla normalizzazione delle relazioni tra Giappone e Corea del Sud, i leader dei due Paesi hanno manifestato l’intenzione di migliorare i rapporti reciproci, ma restano ancora grossi nodi da sciogliere.
I rapporti tra il Giappone e la Corea del Sud sono condizionati dalla rispettiva alleanza con gli Stati Uniti, dalla crescente interdipendenza economica con la Cina e dagli imprevedibili sviluppi della minaccia nucleare della Corea del Nord. In questo scenario il premier giapponese Shinzo Abe ha lanciato un appello per “costruire insieme una nuova era di relazioni, guardando congiuntamente alla storia di amicizia e di sviluppo degli ultimi 50 anni, e focalizzandoci sui prossimi 50 anni”. Ma vediamo quali e di che natura sono le questioni che continuano ad adombrare i rapporti bilaterali tra i due Paesi.
5.1 La memoria storica
A partire dalla seconda metà degli anni ottanta, la narrazione storica è diventata uno dei principali motivi di attrito tra il Giappone e la Corea del Sud a causa del complesso rapporto tra le identità nazionali, le memorie storiche e l’uso strumentale di queste. Nel 1982, e poi anche negli anni seguenti, il Ministero dell’Istruzione giapponese approvò l’adozione di alcuni libri di testo che descrivevano il passato imperialista con discutibili tendenze revisioniste. In particolare, tra i passaggi criticati da Seul figuravano quelli relativi alle «donne conforto», al movimento indipendentista coreano, alla deportazione di cittadini coreani in Giappone e ad alcuni aspetti della dominazione coloniale.
D’altro canto, Tokyo è irritata perché a Seul è considerato un eroe Am Jung-Geun, il patriota che assassinò nel 1909 Ito Hirobumi, uno dei padri della Patria del Giappone Meiji.
È doveroso ricordare però che, dagli anni Novanta, accanto alle tendenze revisionistiche si è affermata una politica della riconciliazione che ha portato più volte il Giappone a riconoscere i crimini commessi in passato. Del resto, la volontà di Tokyo di conferire alla riconciliazione un posto centrale all’interno della propria politica estera è confermato dal fatto che essa è stata elevata a principio fondante della diplomazia regionale in Asia. Uno dei primi e significativi esempi della politica di riconciliazione è costituito dalle scuse poste dal primo ministro giapponese Obuchi Keizo al presidente sudcoreano Kim Dae-jung, in occasione della sua visita in Giappone nell’autunno del 1998.
5.2 Le “donne conforto”
Con il termine eufemistico di “donne conforto” (ianfu) si indicano in Giappone le donne che operarono a servizio delle forze armate nipponiche dagli anni ’30 fino alla fine del secondo conflitto mondiale. Secondo i coreani furono circa 200.000 le donne, in gran parte coreane, che vennero sfruttate sessualmente dalle forze armate giapponesi durante il secondo conflitto mondiale.
Nel 1993 l’allora capo di Gabinetto Kono ammise – per la prima volta – responsabilità ufficiali nel reclutamento, il che portò due anni dopo alla istituzione di un fondo privato per erogare dei risarcimenti. Ma la mancanza del riconoscimento pieno ed ufficiale delle responsabilità da parte del governo giapponese ha sempre suscitato molte polemiche e soltanto 61 vittime accettarono il risarcimento.
La questione è riesplosa in anni recenti, anche grazie alla combattività della comunità coreana negli Usa. Tokyo chiese a Seul di cancellare la definizione di “schiave del sesso” e rimuovere una statua eretta dagli attivisti davanti all’ambasciata giapponese a Seul.
La statua raffigura una giovane ragazza coreana, simbolo delle migliaia di “donne conforto”. Il primo ministro giapponese Shinzo Abe ha affrontato il tema della statua nei recenti colloqui con la presidente sudcoreana Park Geun-hye auspicando di risolvere le tensioni una volta per tutte. La presidente sud coreana Park Geun-hye pur auspicando fortemente scambi commerciali attivi con il Giappone ha riconosciuto che la questione delle donne conforto impedisce di muoversi in quella direzione. Secondo fonti governative sudcoreane “il Giappone dovrebbe riconoscere il problema, chiedere scusa alle vittime ed educare le generazioni future“.
Finalmente, il 28 dicembre 2015 il Giappone e la Corea del Sud hanno raggiunto una storica intesa sull’annosa questione delle “donne conforto”. L’accordo prevede il riconoscimento ufficiale delle proprie responsabilità da parte del governo nipponico, il versamento da parte del Giappone di 1 miliardo di yen, pari a circa 7,8 milioni di euro, a titolo di risarcimento nei confronti delle circa 50 donne di conforto ancora in vita e, inoltre, prevede un impegno bilaterale ad “astenersi da accusare o criticare l’altro Paese per quanto riguarda questo problema nell’ambito della comunità internazionale”.
Tuttavia il piano ha già ricevuto l’opposizione di alcune delle vittime del fenomeno e di alcuni gruppi sociali di entrambi i Paesi. Il giorno 30 dicembre, all’ingresso dell’ambasciata nipponica in Corea del Sud, si è svolto, come di consueto, il “Raduno del Mercoledì”, organizzato ogni mercoledì dai gruppi sociali sudcoreani che esigono dal governo giapponese di chiedere ufficialmente scusa per la questione e di fornire risarcimenti. Il primo Raduno avvenne l’8 gennaio 1992, con quello del 30 Dicembre 2015 si è arrivati al 1211° appuntamento, che è anche il primo dopo il raggiungimento del tanto atteso accordo.
5.3 Il Tempio Yasukuni
Il santuario Yasukuni (letteralmente santuario della pace nazionale) è un santuario shintoista di Tokyo, dedicato alle anime di soldati e altre persone che morirono combattendo al servizio dell’Imperatore.
Ad ottobre 2004, il Libro delle Anime del santuario, conteneva la lista di 2.466.532 uomini e donne, tra i quali 27.863 di Taiwan e 21.181 coreani. Nella maggior parte dei casi si tratta di persone che servivano l’Impero giapponese e che sono morte durante i conflitti sostenuti dal paese del Sol Levante, prevalentemente durante la Seconda Guerra Mondiale.
Il santuario Yasukuni è fonte di notevoli controversie dato che nel Libro delle Anime sono iscritte 1.068 persone che furono condannate per crimini di guerra da un tribunale al termine della Seconda guerra mondiale. Tra questi ve ne sono 14 condannati, addirittura, per crimini contro la pace. Il santuario ospita inoltre un museo sulle operazioni belliche del Giappone durante il secondo conflitto mondiale che viene da alcuni considerato revisionista.
Le visite al santuario di membri del governo sono state causa di proteste sia interne al Giappone che all’estero; la Cina e la Corea del Sud hanno più volte protestato contro queste visite sin dal 1985. Nonostante la controversia l’ex-Primo Ministro Junichiro Koizumi ha effettuato visite annuali durante il suo mandato dal 2001 al 2006.
Il premier Abe ha visitato Yasukuni poco dopo essersi insediato al potere, poi si è limitato a inviare omaggi rituali. Ma alcuni membri del suo esecutivo l’hanno fatto anche di recente.
5.4 Il contenzioso territoriale
Il tratto di mare che separa la penisola di Corea dal Giappone in termini geostrategici ha sempre avuto una notevole importanza. Pur non essendo un “collo di bottiglia” – come viene comunemente chiamato in termini militari un passaggio ristretto che riduce notevolmente il potere di combattimento di una flotta navale, come ad esempio Gibilterra o lo stretto di Malacca tra l’Indonesia e la Malesia – la conformazione di questo tratto di mare incanala quasi naturalmente tutto il traffico marittimo nel tratto di oceano fra Corea e Giappone. L’area (definita “mar del Giappone” o “mare dell’Est”), sporadicamente punteggiata da piccole isole, è oggi una trafficatissima “autostrada del mare”, nella quale gli interessi commerciali dei paesi rivieraschi si trovano costretti a fare i conti con alcune tensioni.
Nel mezzo di queste acque vi sono alcuni isolotti che i coreani chiamano “Dokdo”, i giapponesi “Takeshima”, e la comunità internazionale “Rocce di Liancourt”, che rappresentano uno dei principali contenziosi fra la Corea del Sud e il Giappone.
Le Dokdo sono poco più che una serie di scogli e piccoli affioramenti, situati a circa 200 chilometri sia dalle coste giapponesi che da quelle coreane. L’insieme delle Dokdo ammonta a quasi una novantina di isole, ma solo due fra queste hanno una dimensione degna di nota: il resto sono piccoli scogli. I due affioramenti principali, Dongdo e Seodo, sono due colline, alte meno di 200 metri, che emergono dal mare e che, data la loro conformazione geologica, sono praticamente disabitate.
Vi risiedono meno di una trentina di persone, ovvero tre pescatori e un piccolo distaccamento della polizia e del ministero degli Affari marittimi sudcoreano.
La storia di questi isolotti è stata influenzata dalla loro posizione geografica isolata. Le versioni discordanti fornite dalla Corea e dal Giappone però hanno inevitabilmente fatto sorgere due “storie” diverse, opportunamente declinate a favore dell’una o dell’altra parte.
Al di là delle dispute storiche, dietro la questione Dokdo/Takeshima vi sono ragioni ben più pragmatiche. Il controllo delle acque circostanti e delle risorse – sia dal punto di vista ittico che per quanto concerne la presenza di potenziali idrocarburi – è una delle principali motivazioni per entrambi i contendenti.
Per i sudcoreani le isole Dokdo e la vicina Ulleungdo, al pari della meridionale Jeju, rappresentano delle posizioni avanzate, utili per monitorare l’evolversi della complessa partita politico-militare che si svolge nel Pacifico. Non è un caso che in queste due ultime isole la Marina militare di Seul stia creando delle nuove basi navali, onde allargare il perimetro operativo delle proprie unità. Oltre alle basi, è probabile che siano installati impianti di comunicazione, comando e controllo per sorvegliare tutti i movimenti dell’area.
Per il Giappone, invece, la questione delle isole ha maggiori riflessi nella politica interna. Il discorso sulle potenziali risorse del sottosuolo marino ha il suo interesse, ma la posizione di Tokyo va letta considerando gli altri contenziosi che al momento sono aperti, come nel recente caso delle isole Senkaku/Diaoyu, o le isole Curili al Nord.
Se Tokyo cedesse su uno di questi contenziosi creerebbe un precedente rilevante, che le altre parti potrebbero utilizzare contro le pretese nipponiche. Inoltre, in Giappone diversi gruppi estremisti fanno pressioni e sfruttano i contenziosi in chiave nazionalista. Se si sommano questi atteggiamenti alle cicliche discussioni sul ruolo del colonialismo giapponese, tema ancora molto delicato nella società nipponica, si capisce perché nessun governo possa cedere su questi temi “sic et simpliciter”. Il nazionalismo e le polemiche sul passato, però, hanno anche un certo peso in Corea del Sud, dove è ancora presente la retorica antigiapponese.
Gli Stati Uniti osservano con attenzione la vicenda, ma sostengono che la questione sia un affare bilaterale. I due paesi sono alleati troppo strategici e prendere posizione a favore di uno rischierebbe di compromettere i rapporti con l’altro; l’imparzialità di Washington quindi risponde pienamente alle esigenze della “realpolitik”.
Nella complessa partita delle isole Dokdo la Corea del Sud è in posizione di netto vantaggio. Per prima cosa controlla tutto il piccolo arcipelago da decenni e, grazie alla futura base di Ullelungdo, potrà ulteriormente incrementare nell’area le attività di sorveglianza, anche armata. In secondo luogo il rischio di un’azione militare giapponese è decisamente basso, dati anche i limiti costituzionali delle Forze armate di Tokyo. Il mantenimento dello status quo per Seul è la soluzione migliore.
I margini di azione di Tokyo, al contrario, sono abbastanza ristretti. Il controllo sulle isole non ha basi sul piano giuridico (se non nel diritto interno giapponese) e non sussiste in termini concreti; inoltre questioni ben più rilevanti, come il riarmo cinese o la Corea del Nord, catalizzano maggiormente l’attenzione nipponico.
5.5 Controversia sulla denominazione del Mar del Giappone – Mar Orientale
Il nome dello specchio d’acqua che lambisce il Giappone, la Corea del Nord, la Russia e la Corea del Sud è in continua discussione. Nel 1992, le obiezioni al nome Mar del Giappone sono state sollevate dalla Corea del Nord e dalla Corea del Sud nel corso della sesta Conferenza delle Nazioni Unite sulla standardizzazione dei nomi geografici.
Il governo giapponese supporta l’uso del nome “Mar del Giappone”, mentre la Corea del Sud sostiene il nome di “Mare Orientale”, e la Corea del Nord sostiene il nome di “Mare Orientale della Corea”.
Attualmente, la maggior parte delle mappe e documenti internazionali utilizzano il nome “Mar del Giappone” da solo, oppure includono entrambi i nomi Mar del Giappone e Mare Orientale, spesso con Mare Orientale elencato tra parentesi o altrimenti contrassegnato come un nome secondario.

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