di Vincenzo Elifani

Pubblicato su QUADERNI DEL MASTER IN GEOPOLITICA E SICUREZZA GLOBALE

Fin dai tempi lontani, vuoi per la medesima origine etnica delle loro popolazioni e vuoi per la vicinanza geografica dei rispettivi territori, i rapporti tra la Corea e il Giappone sono sempre stati molto intensi e costanti nel tempo, caratterizzati da consistenti scambi culturali e commerciali, ma anche da troppi conflitti e rivendicazioni.

Oggi questi due paesi sono due grandi democrazie con sistemi economici simili, interdipendenti, in parte complementari e in parte concorrenziali, ma soprattutto con un potente partner commerciale e alleato politico-militare in comune che sono gli Stati Uniti d’America.

Ecco che allora nonostante un passato turbolento i rapporti tra questi due paesi diventano strategici per assicurare la sicurezza, la stabilità e la prosperità nell’area del Pacifico.

1. Brevi cenni storici

I rapporti tra la Corea e il Giappone sono sempre stati difficili e controversi. In tempi recenti, i progetti di conquista su Corea e Cina affiorarono in Giappone alla fine del

XIX secolo. Dopo aver combattuto e sconfitto Cina e Russia in rapida successione, la Corea indifesa divenne un protettorato giapponese nel 1905 e una colonia nel 1910.
Il Giappone trasformò la Corea nella propria “fattoria”, favorendo l’emigrazione di agricoltori giapponesi nella penisola coreana mediante concessione di terre a titolo gratuito o a prezzi simbolici e, anche se molti agricoltori coreani riuscirono a mantenere le proprie terre, i nuovi arrivati diventarono un’oligarchia agraria padrona dei migliori appezzamenti. La produzione di riso venne destinata, quasi esclusivamente, a soddisfare i bisogni alimentari giapponesi. Fu allora che molti contadini coreani furono costretti ad emigrare in Manciuria o in Giappone dove speravamo di trovare una vita più facile.

Il 1° Marzo 1919 la morte dell’ex sovrano Gojong scatenò in tutto il paese dimostrazioni di massa per l’indipendenza. Nonostante il fallimento di questo movimento indipendentista i coreani trovarono in questa circostanza forti legami di identità e patriottismo che li portarono ad instaurare un Governo provvisorio a Shanghai ed a organizzare la lotta armata contro il colonialismo giapponese in Manciuria.
L’occupazione giapponese della Corea non fu particolarmente lunga – l’annessione durò trentacinque anni dal 1910 al 1945 – ma fu un’esperienza traumatica che ancora oggi, a distanza di più di 70 anni, i coreani fanno fatica a perdonare e dimenticare.

Negli anni ’30, per alimentare la loro industria bellica, i giapponesi favorirono la nascita dell’industria pesante nel nord della penisola, dove tra l’altro già operavano imprese minerarie nipponiche nell’estrazione del ferro e del carbone. Il sud della penisola invece rimase prettamente agricolo nonostante l’esistenza di una piccola industria tessile ed alimentare.

Nella Corea del Nord innumerevoli pellicole cinematografiche e programmi televisivi vengono ancora dedicati alle atrocità commesse dai giapponesi durante l’occupazione. Ciò intende imprimere nell’opinione pubblica un sentimento di gratitudine nei confronti di Kim Il-sung che si attribuiva il merito di aver cacciato i giapponesi dalla Corea.

La Corea del Sud, da parte sua, ha invece punito solo un numero ristretto di collaborazionisti, in parte perché potevano risultare utili nell’ottica della lotta contro il comunismo. Tuttavia, all’epoca un certo grado di collaborazionismo fu inevitabile, soprattutto negli ultimi anni di guerra. Il collaborazionismo era diffuso, ma non è mai stato apertamente e completamente riconosciuto dalla Corea del Sud. I ricordi più dolorosi a proposito dell’occupazione giapponese non riguardano tanto ciò che fu perpetrato dai giapponesi, quanto piuttosto ciò che fecero all’epoca i coreani stessi.

Il governo della colonia fu affidato a burocrati giapponesi occidentalizzati, e la politica perseguita prevedeva sviluppo industriale e la modernizzazione amministrativa. Durante gli anni ’30 del XX secolo il Giappone si adoperò per annientare il senso di identità nazionale coreano. I coreani furono obbligati a portare nomi giapponesi, a parlare e scrivere in giapponese, ad adorare l’icona dell’imperatore e a pregare su altari scintoisti. La Corea aveva ufficialmente cessato di esistere, era una provincia del potente Giappone.
La resa del Giappone agli Alleati, nel 1945, ridette alla Corea l’indipendenza dopo 35 anni di dominio giapponese pur lasciandola divisa in due aree: al nord vi erano le truppe sovietiche, ed al sud quelle degli USA. Era pronto lo scenario per la Guerra di Corea.

Nel 1946 le autorità militari di occupazione nordamericane decisero di realizzare, a sud del trentottesimo parallelo, una riforma agraria radicale. Le terre dell’oligarchia giapponese furono espropriate senza indennizzi mentre i grandi proprietari coreani ricevettero un modesto compenso economico. Le terre vennero ridistribuite tra la popolazione coreana e sorse così una nuova classe contadina proprietaria di piccoli appezzamenti che non superavano i tre ettari per famiglia. La redistribuzione della proprietà delle terre operata con la legge di riforma agraria ha contribuito a ridurre le disuguaglianze di reddito e di ricchezza. Ciononostante, l’immagine che abbiamo della Corea del Sud di quegli anni è quella di un Paese sostanzialmente agrario, ma schiacciato dal sottosviluppo e dalla miseria.

Il 25 giugno 1950, con l’improvviso attacco nordcoreano e l’avanzata oltre il 38° parallelo scoppiò la “Guerra di Corea” tra il Nord ed il Sud. Questo conflitto che causò circa 3.000.000 di vittime tra militari e civili e che per poco non fece esplodere la Terza

Guerra Mondiale, si concluse con l’armistizio del 27 luglio 1953 che riportò i confini tra i due Stati lungo la linea del 38° parallelo, praticamente al punto di partenza. Quando i combattimenti finalmente si conclusero, la Corea del Nord era in rovina, ma ciononostante, gli americani vollero mantenere alto il livello di guardia nei confronti della minaccia nordcoreana, tanto che alla fine degli anni cinquanta, gli Stati Uniti introdussero armi nucleari tattiche in Corea del Sud proprio come deterrente contro una possibile futura aggressione nordcoreana.

Il robusto impegno militare degli Stati Uniti negli anni cinquanta e sessanta, testimoniato dalla presenza delle armi nucleari in Corea e dai dibattiti sul loro impiego, influì inevitabilmente sui calcoli nucleari e strategici delle due Coree. Con ogni probabilità fu proprio la presenza di bombe atomiche nella Penisola – sebbene solo a fini di deterrenza – che spinse il Nord socialista a puntare su queste stesse armi.

Negli anni settanta anche Seul provò ad avviare un suo programma nucleare, naturalmente affermando che si perseguivano solo scopi pacifici, che si concluse però, grazie anche alle resistenze americane, con la firma del trattato di non proliferazione il 23 aprile 1975.

Facendo un salto indietro nel tempo ricordiamo che il giorno 8 settembre 1951 a San Francisco, in California fu sottoscritto da 49 nazioni il “Trattato di San Francisco”. Questo trattato di pace con il Giappone, sancì formalmente il riconoscimento della fine della seconda guerra mondiale in Asia e l’inizio del protettorato degli Stati Uniti sul Giappone. Il trattato entrò in vigore il 28 aprile 1952. Il Giappone fu chiamato a risarcire direttamente i paesi danneggiati; tuttavia a beneficiarne furono maggiormente gli Stati Uniti, mentre i vicini paesi asiatici, che avevano subito più pesantemente le conseguenze degli attacchi giapponesi, ne trassero vantaggi relativi. Molti Paesi però, per motivi diversi, non firmarono il trattato, tra questi l’Unione Sovietica, l’India e la Repubblica Popolare Cinese. La Corea del Sud venne invitata a partecipare come semplice osservatore, ma non venne riconosciuta come alleato di guerra.

In seguito al Trattato di sicurezza nippo-americano firmato contestualmente con il Trattato di pace nel 1951 a San Francisco, Tokyo di fatto ha delegato a Washington la gestione della propria politica estera sulla base della dottrina elaborata dal Primo Ministro giapponese Yoshida. Essa può essere riassunta nei seguenti tre punti:

interpretazione restrittiva della clausola pacifista dell’articolo 9 della Costituzione, in modo da non permettere l’invio all’estero delle Forze militari nipponiche (Forze di autodifesa, Fad); esclusiva dipendenza dagli Usa in materia di sicurezza, e quindi importanza del bilateralismo; crescita economica interna, come obiettivo prioritario, ed estera (conquista di mercati e non più di territori).

Le relazioni diplomatiche tra Corea del Sud e Giappone furono ristabilite solo nel Dicembre 1965 ai sensi del Trattato sulle relazioni di base tra il Giappone e la Repubblica di Corea, con il Giappone che riconosce la Corea del Sud come l’unico governo legittimo di tutta la penisola coreana. Infatti, ancora oggi la Corea del Nord non ha rapporti diplomatici ufficiali con il Giappone.

Nei giorni nostri, il governo giapponese, mentre sempre più esplicitamente rivendica un seggio permanente al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite (il Giappone, dopo gli USA è il maggiore finanziatore dell’ONU), ha cominciato ad aggirare la clausola pacifista contenuta nell’articolo 9 della Costituzione per consentire la partecipazione delle Forze di autodifesa in operazioni di mantenimento della pace e nella guerra contro il terrorismo internazionale (Cambogia 1992, Mozambico 1993, Afghanistan 2001) e anche in operazioni senza la copertura dell’Onu (Iraq 2003) – beninteso in azioni logistiche e non di combattimento.

La revisione dell’art.9 della Costituzione è sempre stata nell’agenda del Partito liberaldemocratico, che dal 1955 governa il paese, tuttavia, essendo molto difficile cambiare la Costituzione giapponese, in quanto ci vuole una maggioranza di due terzi in entrambi i rami del Parlamento, oltre che un referendum nazionale, allora il governo Abe ha pensato ad una legge che reinterpretasse l’articolo costituzionale.

A settembre 2015, il Parlamento giapponese ha approvato una controversa legge che per la prima volta dal 1947 autorizza le “forze di autodifesa” ad essere impiegate in missioni armate al di fuori dei confini del paese.